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venerdì 26 febbraio 2021

Pointillisme, luci e colori nella vista

 


Mi ricordo che, quando ero poco più di un bambino, qualcuno mi enunciò in maniera un po' semplicistica la teoria dei colori e l'idea che nel bianco siano contenuti tutti i colori dell'arcobaleno. Mi misi subito all'opera: presi dalla mia scatola di tempere i sette colori dell'iride e li mescolai in una bacinella in parti uguali, sperando di ottenere un bianco perfetto. Non si fa fatica a immaginare la mia delusione quando vidi che il risultato era un bruttissimo grigiastro-marrone, quello che i tipografi chiamano "bistro".
In effetti nessuno mi aveva detto che la faccenda funziona solo con la luce, dove la miscela dei colori avviene in modo sottrattivo. Se proiettiamo diversi fasci di luci colorate con i sette colori fondamentali (ma anche con i tre colori fondamentali del video, (rosso, verde e blu) in uno stesso punto, la luminosità aumenta e nel punto centrale la luce diventa bianca o quasi bianca. Non funziona così con la materia (che non è luce), che invece funziona per miscele additive, e quindi i colori si sommano tutti insieme e creano un pasticcio.


E' stato Isaac Newton (1642 – 1726) a dimostrare, nell'anno successivo al 1665, la natura composta della luce. Secondo Newton quando un raggio di luce (che lui definisce "bianca") colpisce la superficie di un prisma di vetro con un certo angolo, una parte del raggio viene riflessa dalla superficie del prisma mentre la parte restante attraversa il prisma e ne esce scomposta nelle famose bande colorate dell'iride.
Per i pittori, come dimostra il mio esperimento infantile, questa teoria è di scarsa utilità, mentre la è per i tecnici delle luci a teatro e per i costruttori di computer. La grande intuizione di Newton è stata quella di ipotizzare che la luce sia composta da particelle di differenti colori, e che ogni colore viaggi con una propria velocità, compresa tra quella del rosso (il più veloce) e quella del violetto (il più lento). La teoria sarà poi meglio specificata da concetti come frequenza e lunghezza d'onda, ma non stiamo troppo a lambiccarci il cervello. Ciò che ci interessa è invece la visione di Goethe, che con Newton non era molto d'accordo.
Goethe (1749 – 1832) afferma che non è la luce bianca a scaturire dalla sovrapposizione dei colori, ma esattamente  il contrario; i colori non sono cioè «primari», ma nascono dall'interazione della luce col buio, cioè da opposte polarità. Di fatto, i colori consistono in un offuscamento della luce, o nell'interazione di questa con l'oscurità.
L'opera di Goethe è stata un importante presupposto per lo sviluppo della scienza della colorimetria.

L’idea da cui Goethe parte, è quella di provare a verificare le affermazioni di Newton. Si fa prestare prismi ed altri attrezzi per effettuare le diverse sperimentazioni, poi effettua una osservazione rapida attraverso il prisma di una parete bianca e nota quasi immediatamente che la luce bianca “in sè” non dà luogo ai colori, ma questi sorgono quando vi è nella parete un ombra, una macchia, un buco. Allora capisce che i colori nascono dal “dialogo” tra luce ed oscurità. La teoria di Goethe trova consensi anche nell'antroposofica di Steiner  (1861 –  1925).
Secondo Newton e la fisica ufficiale, noi vediamo un corpo rosso perché la sua superficie assorbe tutte le frequenze ottiche, tranne quelle del rosso. Sentite cosa dice Steiner riguardo questa affermazione:
“e da che oggi i fisici i sono impadroniti del fenomeno dei colori e considerano la dottrina dei colori come una parte dell’ottica, abbiamo pure le spiegazioni, degne della fisica moderna, sul carattere dei colori dei corpi. Troviamo per esempio una spiegazione molto importante: perché un corpo è rosso? Un corpo è rosso perché assorbe tutti gli altri colori e riflette soltanto il rosso. Questa spiegazione è degna della fisica moderna, perché è formata secondo il principio logico secondo cui un uomo sciocco sarebbe tale per aver assorbito tutta l’intelligenza, irradiando verso l’esterno solo la stupidità.” Naturalmente non è che Steiner non comprendesse la teoria fisica, ma provocatoriamente voleva affermare, come Goethe, he i colori hanno anche un aspetto qualitativo, e non solo quantitativo. Che l'essere rosso è una qualità legata ad un oggetto rosso, che la nostra relazione con il colore è un’esperienza intima, e che la matematica non può render ragione di un’esperienza sensoriale, emotiva e sentimentale con un semplice dato numerico.

La questione trova una soluzione applicativa, quella che adottarono i Pointillistes, negli studi di Michele Eugene Chevreul (1786-1889),  uno scienziato che studia il colore ed incide in modo determinante sulla storia dell'arte. Le sue scoperte sull'influenza reciproca dei colori e il suo sistema di classificazione dei colori vengono studiate e applicate da molti pittori.
Chevreul si rende conto  che certe tonalità di rosso, se accostate al verde, risultano vivaci, mentre se accostate al giallo tendono ad essere più spente. Sostanzialmente Chevreul capisce quel fenomeno chiamato "interazione del colore", ovvero il fatto che due colori accostati tra di loro tendono a tingersi l'un l'altro del corrispettivo colore complementare. Il giallo tende a colorare di un blu-viola i colori vicini, il rosso di un verde, il blu di un giallo caldo, tendente all'arancione. Dall'osservazione e dallo studio di questi fenomeni Chevreul formula la legge del "contrasto simultaneo": due colori adiacenti, vengono percepiti dall'occhio in modo diverso da come sono in altri contesti. Il principio del "contrasto simultaneo" crea l'aumento di luminosità dovuto all'accostamento di due colori complementari. Chevreul capisce e verifica che ogni colore steso su un foglio bianco presenta ai lati un'aura del suo colore complementare. Così, se si accostano due colori complementari, l'aura di uno rafforza quella dell'altro aumentandone la luminosità.
Gli studi di Chevreul sono stati ripresi verso il 1885 da Seurat, che su questi studi fonda il Puntinismo: ciascun colore è influenzato dal colore cui è posto accanto e quindi i colori non dovranno essere mescolati ma anzi accostati, soprattutto i colori complementari, così da creare il contrasto simultaneo.
La “miscela” dei colori in questo modo non avviene nel quadro ma viene compiuta dall’occhio dell'osservatore. I Pointillistes per rendere questi effetti  applicavano i colori sotto forma di punti. Gli effetti non sono sempre di grande riuscita, forse a causa di una dimensione eccessiva dei punti, che obbligano lo spettatore ad allontanarsi molto dal quadro per coglierne gli effetti (oppure, in altri casi, sono ormai lontani dal desiderio di produrre "un effetto" e sono alla ricerca di strade simboliste che vanno oltre la figurazione). A mio parere gli effetti più suggestivi sono nel divisionismo italiano, che però è più cauto, più accurato e rigoroso e fa un uso più temperato dei colori primari. Nonostante ciò, la pittura puntinista accentua e valorizza la percezione dell’insieme e dei colori puri iniziata dagli Impressionisti, e ci dà un’idea magica e “corpuscolare” della realtà.

Abbiamo già incontrato Seurat e Signac nel post-impressionismo, a cui si aggiunge qualche sperimentazione pointilliste di Matisse (che vedremo nella sua poiedricità più avanti) e la straordinaria figura di Vladimir Baranoff-Rossine e di altri non meno interessanti. Il Pointillisme nasce in un certo senso da una esasperazione tecnica di quanto già avevano compreso e praticato gli impressionisti sulla scomposizione del colore; in Francia continua a ricercare la suggestione paesaggistica, mentre in Italia si traduce in divisionismo (che vedremo nel prossimo capitolo), una pittura di grande impatto visivo, che però non si limita al paesaggio, ma si accosta ai temi simbolisti, alle narrazioni di vita quotidiana, alla pittura sociale. 

 

 


Maximilien Luce, Port de Londres, la nuit (1894)


Maximilien Luce,  La seine aux gresillons (1894 )


Maximilien Luce, La Seine à Herblai (1890)

 

 
Maximilien Luce, Jour de marché à Gisors (1897)


 
Georges-Pierre Seurat, Un dimanche après-midi à l'île de la Grande Jatte (1884)


 
Georges-Pierre Seurat, La Seine et la Grande Jatte au Primtemps (1881)


 
Georges-Pierre Seurat, La Charette attelée (1883)


 
Paul Signac, Femmes au puits, Provence  (1892)

 

 
Paul Signac, L'Hirondelle à vapeur sur la Seine (1901)

 

 
Paul Signac Palais des Papes, Avignon (1909)
 
 
 
 
Paul Signac, Pins à Saint Tropez (1909)


Paul Signac, Le chemin de fer à Bois Colombes (1886)


 
Paul Signac, La Calanque (1906)


Georges-Pierre Seurat, La Seine et la Grande Jatte au Primtemps (1881)
 
 
 
Paul Signac, Vue du Port de Marseille (1905)


Vladimir Baranoff-Rossine Sunset on the Dnieper 1908 

 

Henri Edmond-Cross, Le lac au bois de Boulogne  (1899)



Henri Edmond-Cross, Antibes, apres midi (1908)
 
 

Henri Edmond-Cross, Rivière à Saint-Clair (1908) 
 
 

Henri Edmond-Cross, La forêt (1906-1907)





Theo van Rysselberghe, Coucher de soleil à Ambleteuse (1899) 



Henri Matisse, Luxe, Calme et Volupté (1904)

 

 

 

Georges-Pierre Seurat (Parigi, 2 dicembre 1859 – Gravelines, 29 marzo 1891)
Paul Signac (Parigi, 11 novembre 1863 – Parigi, 15 agosto 1935)
Maximilien Luce (Parigi, 13 marzo 1858 – Parigi, 6 febbraio 1941) 
Henri-Edmond Cross (Henri-Edmond-Joseph Delacroix) Douai, 20 maggio 1856 - Le Lavandou, 16 maggio 1910) 
Théo van Rysselberghe (Gand, 23 novembre 1862 - Le Lavandou, 14 dicembre 1926)
 
Wladimir Davidovich Baranoff-Rossine (Cherson, 13 gennaio 1888 – Campo di concentramento di Auschwitz, 1944)  
Ucraino naturalizzato francese, di origine ebraica, artista poliedrico dell'avanguardia simbolista,  cubista e futurista, inventore di strumenti musicali. Osservando la sua opera ampiamente (per quanto è possibile) ci si rende conto che sono presenti molti innesti che germoglieranno in nuove forme d'arte. Studia a San Pietroburgo, nel 1910 si trasferisce a Parigi, dove risiede fino al 1914. Torna a Mosca per poi emigrare in Francia nel 1925. Deportato ad Auschwitz, un campo di concentramento tedesco e lì assassinato nel 1944 dai Nazisti. 

 

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