Tra il 1840 e il 1850, nasce in Francia il Realismo. Un movimento culturale, pittorico e letterario legato al positivismo, la filosofia che affronta la realtà in modo scientifico. Il “realismo” (come aspirazione, non come corrente) è sostanzialmente un desiderio di guardare il mondo “per ciò che è”. Non dimentichiamoci che la rivoluzione industriale ha portato alla ribalta una nuova classe borghese, che vuole sì, acculturarsi, ma sposa volentieri le idee chiare e senza troppi fronzoli (che sembrano un retaggio della decaduta nobiltà). Quando Auguste Compte nel 1830 pubblica il Corso di filosofia positiva, il positivismo si avvia a diventare l'elaborazione ideologica proprio di quella borghesia industriale e progressista che rappresenta “il nuovo”. In Europa e nel Regno Unito, il positivismo trova infatti corrispondenze con l'affermazione del pensiero economico del liberismo.
In questa fase il positivismo vuole spodestare la filosofia idealistica (considerata come un'inutile astrazione metafisica), quindi sposa la fiducia nel progresso scientifico e ovunque c'è il desiderio di applicare il “metodo scientifico” a tutte le sfere della conoscenza e della vita umana. Nell'arte, tutto questo sta per scardinare i temi romantici. Non l'ha ancora fatto, lo sta facendo. In parole povere, verso la metà dell’Ottocento la coscienza degli artisti è sostanzialmente tirata per la giacca da due parti: il “vecchio” lirismo romantico, lo spazio infinito dell’interiorità, il nostro essere piccoli nell’immenso, e la “nuova” necessità del vero e dell’incontrovertibile (l’idea di scienza), che tradotta in arte significa ridefinizione del ruolo del pittore, che diventa il più possibile onesto testimone della realtà, sincero narratore di ciò che accade “là fuori”. Così il razionalismo positivista stimola i grandi poeti della Scuola di Barbizon. Perché, come ogni ventata nuova di pensiero, il positivismo opera un rinnovamento anche nel modo di fare arte, in questo caso distaccandola dagli schemi accademici e portandola allo studio diretto del vero e del dipinto “dal vero”. Ma è anche vero che i pittori di Barbizon sono il perfetto momento di transizione tra il romanticismo e il realismo, e la loro storia molto francese ha origine in Inghilterra. Mi perdoneranno adesso i più esperti, notando che non ho menzionato Constable tra i grandi romantici... ne parlo solo adesso, non per lasciarlo per ultimo, ma per metterlo tra i primi. Infatti, se Constable è in assoluto il maestro del paesaggio ottocentesco, è in fondo anche l'ispiratore della Scuola di Barbizon.
John Constable (East Bergholt, 11 giugno 1776 – Londra, 31 marzo 1837)
Pur essendo il grande erede della precedente tradizione paesaggistica, Constable ha un sentimento nuovo, più autentico. Ripudia i paesaggi ideali o immaginari e copia la natura. La produzione artistica di Constable, fatta quasi tutta di paesaggio, è la celebrazione del realismo eppure continua ad essere anche romantica. E' lui maestro del Realismo nella raffigurazione paesaggista dal vero, di scene naturali, ma non a caso Constable è spesso associato a Turner come i due grandi inglesi del Romanticismo. Questo cruciale passaggio nel modo di "guardare il mondo"trova una sintesi perfetta nei suoi cieli sconfinati, nel vento, negli alberi frondosi, nelle valli pervase di luce.
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La Scuola di Barbizon
In pratica, succede che, intorno al 1830, un certo numero di artisti di inclinazione romantica, appassionati di paesaggi naturali, cominciano a radunarsi a Barbizon, una località vicina alla celebre foresta di Fontainebleau. Di solito si stabiliscono nel piccolo Hotel di Père Ganne, a due passi dalle foreste e dalle paludi di Fontainebleu, ma più avanti qualcuno comincerà a prender casa a Barbizon, dove un appartamentino con studio annesso ha affitti molto più bassi che a Parigi. Il luogo poi è perfetto per le loro ricerche sugli effetti della luminosità e sui contrasti coloristici della natura, colta in particolari condizioni di intensità. E se vi piacciono i risultati pittorici di Barbizon, se vi piace il loro modo innovativo e moderno di pitturare, ricordatevi che a quell’epoca non esistevano ancora i comodi colori a olio in tubetto, e i pigmenti erano polveri che l’artista stesso scioglieva con solventi e miscelava con leganti inerti “fabbricandosi” il colore in casa, dopo essersi opportunamente preparato la tela*.
(*) Curiosità: Anche questo momento (la cosiddetta imprimitura delle tele) era un lavoro complesso: dopo averle tese su telai, venivano imbevute di colla di coniglio per rinforzarle e renderle meno assorbenti. Poi si lasciavano seccare e, con la spatola, si coprivano a caldo con una pasta composta di gesso (solfato di calce macerato in acqua, seccato, macinato e setacciato fino ad essere impalpabile) e colla di gelatina o di caseina. Per i supporti non assorbenti si usava biacca di piombo purissima sciolta in un olio vegetale (il lino era il più usato) e in essenza di trementina. Alla fine, il gesso veniva raschiato con carta vetrata finissima e pomice fino ad essere levigato. L'imprimituta non era necessariamente bianca; ogni pittore poteva decidere di dare già una base cromatica (a volte addirittura con campiture di colore differenti) per impostare già una tinta di base sullo sfondo del quadro, e lasciandola "a vista" spesso a anche a quadro ultimato). Il collaudo migliore dell'imprimitura si faceva piegandola fra le dita; la preparazione non doveva screpolarsi né tanto meno staccarsi dalla tela.
Pierre Étienne Théodore Rousseau (Parigi, 15 aprile 1812 – Barbizon, 22 dicembre 1867)
E’ considerato uno dei maggiori esponenti della scuola di Barbizon. Dicono che sia stato lui il primo ad andare a Barbizon e a “dare l’esempio”, ma da altre parti c’è scritto che Rousseau, dopo uno smacco accademico, decide di rifugiarsi a Barbizon dove c’è già una piccola colonia di artisti. Comunque lui porta a Barbizon il suo stile forte ed efficace, con il colore che diventa luce ma rimane materia. Ha una pennellata densa, (… sarà stato Rousseau il primo a stendere i famosi “gnocchi” di colore che ogni tanto abbiamo desiderato staccare da un quadro?) usa un colore pesante, spesso e materico, usando il pennello come miscelatore, anche direttamente sul dipinto. Era un autodidatta, ma sicuramente deve avere studiato molto i quadri di Constable. Dipinge direttamente di fronte alla natura, con entusiasmo lirico e grande impegno morale.
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Abbiamo detto che a Barbizon è ancora ben presente l’onda lunga del romantico. Ma ormai ci si interroga anche su che cosa sia, veramente, la realtà. Se sia veramente possibile una sua “oggettivazione” come vorrebbe il positivismo, o se invece la realtà, specialmente la natura, non conservi un contenuto misterioso, magico, che ci provoca una specie di stupore mistico e, appunto, romantico. Poi, da un certo punto di vista, l”oggettivazione” della realtà (ovviamente tra virgolette), è un problema in via di risoluzione da parte della tecnica: nel 1839 il fisico François Arago presenta all'Accademia delle scienze francese il brevetto di Daguerre, chiamato dagherrotipo. Si tratta di un evento che nell’ambito della storia dell’arte equivale alla bomba atomica. Appena l’arte si pone il problema di come essere “realista”, la tecnica le fornisce una risposta (e nello stesso tempo diventa anch’essa arte). All’arte dell’epoca, comunque, non resta che assegnare quel compito (oggettivare la realtà) alla tecnica, e occuparsi di ciò che “non appare”. Forse anche per questo Barbizon raccoglie esponenti del realismo particolarmente inclini a indugiare in tendenze formalmente raffinate, a visioni di carattere romantico. Il tutto in una sintesi meravigliosa: per gli artisti di Barbizon l'associazione del paesaggio con lo stato d'animo non persegue più l'idealizzazione o l'elevazione della natura ma l’autenticità di un'ispirazione sincera (ecco il realismo), e uno stato di umiltà e rispetto di fronte alle infinite suggestioni offerte dal creato (ecco il romanticismo). Se contiamo poi che molti capolavori del Realismo (vedi capitolo successivo) nascono dalla scuola di Barbizon, si capisce anche che l’ispirazione romantica sarà applicata (con gli ideali del realismo o di altre prospettive) ancora per molti anni. Tra le curiosità che chiariscono lo spirito di questi artisti, la loro sensibilità e il loro amore per la natura, bisogna dire che a Barbizon in quegli anni si sviluppa un’attenzione all’ambiente fino ad allora quasi sconosciuto. E’ infatti proprio a Barbizon che gli artisti creano la prima “area protetta” della storia: la ”Riserva artistica della selva di Fontainebleau”, voluta espressamente dai pittori per preservare una località splendida da un incombente progetto di disboscamento. In questo contesto nasce questo il gruppo che è di importanza notevolissima, perché qui, insieme a quelli della Scuola di Düsseldorf, ci sono tutti i “maestri dei maestri”, ovvero coloro che hanno insegnato a dipingere alla generazione delle Superstar che arriveranno a fine Ottocento. Comunque, tornando a Barbizon, dal 1848 in poi, le idee di Constable hanno un altro grande seguace:
Camille Corot, Veduta di Firenze da Boboli (1835)
Camille Corot (Jean-Baptiste Camille Corot) (Parigi, 16 luglio 1796 – Parigi, 22 febbraio 1875)
Lavora con lo stile dei realisti e dei romantici del suo tempo. Tra i pittori di Barbizon, l'arte di Corot è più individuale di quella di Théodore Rousseau, i cui dipinti hanno il rigore della tradizione; è anche più poetica di quelle di Daubigny, che è il “rivale” contemporaneo di Corot; è diversa nei colori e nei particolari da quella di J-F. Millet, che ha pensato più alla cruda verità che ai minuziosi particolari. Gli storici hanno diviso piuttosto arbitrariamente il suo lavoro in periodi, un primo periodo ha dipinto in modo tradizionale, caratterizzato da precisione minuta, profili nitidi e definizione assoluta degli oggetti. Successivamente va verso una larghezza dei toni e un approccio alla potenza poetica. Poi, dal 1865 circa in avanti, il suo modo di dipingere diventa pieno di mistero e di poesia. Durante i suoi 10 anni finali si trasforma nel “Père Corot” dei circoli artistici parigini, dove era considerato con affetto personale e riconosciuto come uno dei cinque o sei pittori di paesaggio più grandi che il mondo avesse visto, con Lorrain, Friedrich, Turner e Constable.
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Jean-François Millet (Gréville-Hague, 9 ottobre 1814 – Barbizon, 20 gennaio 1875)
Millet è povero, di origini contadine. Inizia la carriera facendo ritratti per guadagnare il minimo per vivere. Adeguandosi alle mode, sperimenta anche un genere che richiamava il rococò del XVIII secolo, tipo quadri mitologici e allegorici, spensierate scenette bucoliche. Dal 1850 fa anche l’incisore e realizza stampe tratte da suoi dipinti e utilizza incisioni come bozze per i quadri. Nel periodo di Barbizon, si dedica a rappresentazioni di scene agresti a metà strada tra il naturalismo e il realismo: i protagonisti dei suoi dipinti, contadini o persone delle classi più umili, sono ritratti con una grande dignità e forza d'animo. Sono queste le opere che vennero più volte richiamate da artisti come Vincent Van Gogh e Salvador Dalí.
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Charles-François Daubigny (Parigi, 15 febbraio 1817 – Parigi, 19 febbraio 1878) è considerato un altro dei maestri della scuola di Barbizon e uno dei più importanti precursori dell'Impressionismo. Sicuramente, anche per un fatto anagrafico, Daubigny è più "moderno". Il suo pennello si avvia sempre di più a dipingere solo ciò che conta veramente. Ma Barbizon era piena di talenti. Ecco adesso una bella gallery di dipinti e di protagonisti. In rosso ci sono (come al solito) i nomi di autori senza nessuna immagine. Se qualcuno ha voglia di esplorare, bastano i nomi per trovare nel web un sacco di materiale.
Jules Dupré (Nantes, 5 aprile 1811 – L'Isle-Adam, 6 ottobre 1889)
Hippolyte Camille Delpy (Joigny, 1842 – Parigi, 4 agosto 1910)
Henri Harpignies (Valenciennes, 28 giugno 1819 – Saint-Privé (Yonne), 28 agosto 1916)
François-Louis Français (Plombières-les-Bains, 17 novembre 1814 – Parigi, 28 maggio 1897)
Altri autori di Barbizon, se qualcuno volesse estendere le ricerche:
Narcisse Virgilio Díaz de la Peña (Bordeaux, 25 agosto 1807 – Mentone, 18 novembre 1876)
Pierre Thuillier (Amiens, 17 giugno 1799 – Parigi, 19 novembre 1858)
Henri Biva (Parigi, 23 gennaio 1848 – Parigi, 2 febbraio 1929)
Alexandre Defaux (Bercy, 27 settembre 1826 – Parigi, 1900)
Léo Gausson (Lagny-sur-Marne, 14 febbraio 1860 – Lagny-sur-Marne, 27 ottobre 1944)
Jules Jacques Veyrassat (Parigi, 12 aprile 1828 – Parigi, 2 luglio 1893)
Charles Olivier de Penne (Parigi, 11 gennaio 1831 – Bourron-Marlotte, 18 aprile 1897)
Se questo percorso vi interessa, ci vediamo alla prossima fermata, dove vedremo cos'è successo al Romanticismo una volta trasportato negli Stati Uniti.
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