Ogni cambio di secolo in genere porta con sè (oppure simboleggia) grandi cambiamenti in atto. Alla fine del 700 in Inghilterra c'è la prima rivoluzione industriale. Un evento che, insieme alle innovazioni tecnologiche del periodo, è destinato a cambiare faccia al mondo. Non solo al mondo cosiddetto “civilizzato” che diventa ancor più “civilizzato”, ma anche al mondo degli sfruttati (le cosiddette colonie), che nell’Ottocento cominceranno ad essere sfruttate ancora di più e con metodi ancora più disumani. Tutto questo, comunque, porta ad una specie di innalzamento del tenore di vita in tutta Europa; Dal 1837 inizia in Inghilterra la celebre Epoca Vittoriana, un periodo floridissimo che finirà col secolo; nella seconda metà dell'800 decolla la Francia di Napoleone III, decolla la Germania di Bismark. In Europa domina la borghesia coi suoi presunti valori: risparmio; laboriosità; conformismo. L’arte spesso non asseconderà questi valori, e aiuterà le aperture sopra alle convenzioni. Con l'illuminazione a gas e la prima acqua corrente nelle case dei più benestanti, la tecnica e l'energia, la vita diventa più leggera per alcuni, ma non per tutti: l’arrivo delle macchine potrebbe decretare la fine della fatica (e anche dell’abilità), ma invece continua ad essere sfruttato il lavoro, compresi donne e bambini; si accentua il divario tra paesi più ricchi e resto del mondo.
Eppure, dell’Ottocento noi conserviamo un'immagine struggente, spesso eroico ma più che altro pieno di sentimenti, di umanità, di momenti, senzazioni, emozioni e impressioni che oggi spesso rimpiangiamo, pur non avendo mai veramente vissuto in quei contesti. E specialmente noi italiani che, a dispetto di quel che si dice, abbiamo sentito l'onda romantica solo di striscio. Perché per essere colti, riflessivi, introspettivi e sensibili bisogna comunque avere prima risolto i problemi principali, tipo quello di riempire la pancia o di non far morire la tua famiglia di freddo. E da noi, una vera borghesia era molto meno diffusa in Francia o in Germania. Dove c'era una borghesia più colta e più ricca, c'è stato il modo di diventare romantici. A noi italiani questo è quasi mancato, oppure convertito negli ideali Risorgimentali. Ci è mancato quel grande sogno dell'anima che ha unito i cuori di intere nazioni e ha di nuovo messo il mondo davanti alla magnificienza del grande mistero. Penso che sia stato davvero così, l’Ottocento, e se lo penso è grazie a come i pittori lo hanno descritto. Un secolo di sentimenti che incomincia appunto con il Romanticismo. Il termine romantic, deriva da romance e compare in Inghilterra alla metà del 17° sec. con il significato poetico e ‘romanzesco’, cioè non reale. Spesso diciamo che è “romantico” ciò che è ‘pittoresco’, come lo si intendeva anche verso la fine del Settecento, e cioè relativo alla suggestività della scena naturale per la sua capacità di evocare stati d’animo. Il Romanticismo è solo l'inizio, ma secondo me tutto l'Ottocendo finisce per essere pervaso di un’ondata romantica, perche il romanticismo è molto di più di ciò che noi pensiamo comunemente: appare come soggettivismo ma anche come coscienza collettiva; come enfasi nazionalistica ma anche come insoddisfazione del mondo; come trasfigurazione poetica della realtà e anche come ricerca del vero; come ritorno al Medioevo ma anche come ricerca di modernità, come superficialità che però pesca nel profondo.
Sta di fatto che questo Ottocento e con lui i primi decenni del Novecento, fatti di arte figurativa, ancora piacciono a tanta gente. Forse piacciono meno agli intellettuali classici, che prediligono i secoli antichi, e agli intellettuali contemporanei che, attribuendo all’arte nuove funzioni, prediligono le sperimentazioni contemporanee. Per tutti gli altri (e per alcuni storici ed esperti) l’arte in cui stiamo per entrare resta invece un capitolo particolarmente felice della lunga strada dell’espressione visiva. Riporto quindi per coloro che non hanno letto l’introduzione, un solo passo di quanto ho scritto all’inizio della passeggiata: il motivo per cui questa arte tra Ottocento e Novecento piace e interessa così tanto al "grande pubblico"? (sempre ammesso che questa locuzione abbia ancora un senso, quando invece si dovrebbe parlare di, e con migliaia di personas). Una prima risposta, forse la più semplice, è che questa arte è quella culturalmente più vicina a noi, e quindi la più accessibile. Non possiamo nascondere l’incommensurabile successo delle mostre che celebrano correnti come l’impressionismo, i macchiaioli e in generale grande la pittura figurativa moderna. Poi, per un pubblico un po’ più colto, o semplicemente più trendy, possiamo anche vedere l’interesse per le sperimentazioni post-figurative, il passaggio dell’arte significante all’arte significata, ovvero quell’atteggiamento in cui l’arte smette di essere il tramite per rappresentare qualcosa di esterno e comincia semplicemente a rappresentarsi e ad autoreferenziarsi. A collocarsi cioè nella realtà non più come strumento per rappresentare un oggetto una persona, un paesaggio, un albero, ma a porsi l'opera come oggetto che rappresenta se stesso, con la stessa dignità di un albero o di una persona, non come effigie di qualcos'altro. Questo già seleziona i visitatori di mostre, che ancora apprezzano l'arte come rappresentazione di qualcosa che ci è evidente e che ci è facile confrontare con le nostre esperienze. In pratica, forse, è un'arte per pigri, perchè non devi fare nessuno sforzo e spesso non devi avere nessuna informazione per esserne conquistato.
Ma forse il motivo per cui questa arte ci piace e ci interessa così tanto è che probabilmente si tratta dell’unica espressione umana veramente libera, dell’unica arte che, nel lungo corso della storia, non è stata eseguita su commissione, per celebrare la divinità, una potente casata nobiliare, un regno, un impero o un gallerista. Dobbiamo infatti ricordare che, salvo episodiche eccezioni, tutta l’arte antica è stata arte realizzata da maestri che venivano convocati da papi, prelati, principi o granduchi per glorificare la divinità, i santi oppure, più tardivamente, regnanti e governanti.
Anche nell’arte moderna questo meccanismo di mercificazione dell’arte si è riproposto. Da quando critici e galleristi sono diventati imprenditori, gli artisti sono tornati ad essere “fornitori”, spesso costretti ad eseguire lavori in ottemperanza a leggi di mercato più che a un intimo desiderio espressivo. Invece, quella che possiamo definire arte “libera” riguarda un periodo abbastanza ristretto, che include proprio una buona parte delle esperienze di un po’ dell’Ottocento e un po’ del Novecento. Quell’epoca in cui l’urgenza dell’artista rispondeva a un bisogno interiore, e per soddisfare questo bisogno l’artista era perfino disposto ad una vita misera, da emarginato o da bohémien. Naturalmente anche nella contemporaneità esistono artisti così, ma - a meno che non siano molto fortunati - non sono destinati a diventare famosi e a lasciare un segno nella storia dell’arte.
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