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lunedì 15 febbraio 2021

Pallido primo Ottocento in Italia


L’Italia nell’Ottocento non riesce a proseguire la sua grande tradizione artistica. La grande onda del Romanticismo, la tempesta che ha generato il nuovo modo di “sentire artistico” del mondo contemporaneo da noi produce solo un tpiepido venticello. D’alra parte abbiamo problemi maggiori: al tempo del Congresso di Vienna (1815) riceviamo una nuova sistemazione politica che fraziona l’Italia in dieci stati: il Lombardo-veneto, il regno di Sardegna,  il ducato di Modena e Reggio, il ducato di Massa e Carrara, il ducato di Parma e Piacenza, il ducato di Lucca, il granducato di Toscana, la repubblica di San Marino; lo Stato della chiesa,  il regno di Napoli e di Sicilia.
Accade così che nel corso del XIX secolo, mentre Francia, Spagna, Gran Bretagna ed altri hanno già da secoli la loro identità nazionale, l’Italia è impegnata a unificarsi e deve ancora costruire (o forse solo ricostruire) il proprio senso e il proprio orgoglio di essere “nazione”. Il Risorgimento è riuscito solo in parte in questa difficile impresa e l’Italia artistica dell’Ottocento paga il prezzo di una arretratezza economica, politica e culturale. Nel 1848 comincia la serie di sanguinose insurrezioni anti-asburgiche che porteranno alle guerre di indipendenza e al tentativo di Carlo Alberto di cominciare a “riprendersi”  il Lombardo-Veneto. Saranno grane fino al 17 marzo 1861, giorno in cui il parlamento nazionale riunito a Torino proclamerà la trasformazione del Regno di Sardegna in Regno d'Italia, regno che diventa una monarchia costituzionale, ma soprattutto diventa uno stato. Uno stato con un’economia arretrata, che arriva tardi al processo di unificazione, con un destino simile a quello tedesco, ma con la differenza che in Germania il processo economico di ripresa inizia prima e se ne frega dell'unificazione. Dal 1861 si “scopre” il problema dell'arretratezza del Sud e del deficit. Allora come oggi, condizioni sociali ed economiche instabili non favoriscono certo la nascita di istituti d’arte e lo sviluppo di talenti, quindi il Romanticismo italiano ha un tono sommesso oppure inglobato nei temi eroici del Risorgimento e del patriottismo. Sarà così anche per la corrente del Realismo (la prossima che osserveremo). Nel frattempo (lo vedremo fra poche puntate), dal 1848, nonostante la sua arretratezza, l’Italia prepara una strepitosa risposta pittorica (che non a caso parte da Firenze e dintorni) destinata a lasciare un segno profondo e straordinario nel cammino dell’arte. 

Mi rendo conto che è difficile dare il senso cronologico degli eventi, “a capitoli”, perché verso metà Ottocento molti eventi sono quasi contemporanei… Sta di fatto che romanticismo e realismo in Italia passano con meno vigore (manca la borghesia, che in fondo adesso è il principale committente dei pittori), e la rivoluzione industriale arriva tardi e lentamente, in modo diseguale sul territorio. E la pittura fino a metà dell’Ottocento e dintorni, a parte qualche raro caso di eccellenza tecnica, produce quella sorta di vedutismo un po’ manierato che poi, come già succedeva ai romantici, diventa una specie di stereotipo da fiera, da riproporre quasi come modulo prestabilito. Se da una parte i temi sono pseudoromantici ( le “marine”, i tramonti, il mare con le onde trasparenti, le barche sull'arenile, i paesaggi col castello), dall’altra sono pseudorealisti (la pastorella, i bambini scalzi, la felicità agreste, il focolare). Più tardi anche altre correnti illustri forniranno ai pittori da fiera altri moduli narrativi: il pagliaccio triste, la strada bagnata con i riflessi, il bosco, il chiaro di luna. 

 

 
Massimo d'Azeglio, Colline nei pressi di un lago (1821)
 
 
Salvatore Fergola, Tifone nel Golfo di Procida (1842)
 

 
Giacinto Gigante, Napoli vista dalla Conocchia (1844)


 
Gonsalvo Carelli, Cava De’ Tirreni (1857)


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