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venerdì 29 novembre 2013

Concettuale ed estemporaneo


Quest'opera (Jasper Nouri, 2002) sembra condensare in sè una serie di requisiti/quesiti necessari per essere una Rilevante Opera d'Arte Contemporanea di Carattere Concettuale.

1) Si propone come sufficientemente SORPRENDENTE; ovvero tenta di incunearsi come una discontinuità nel nostro panorama visivo abitudinario. Nell'operazione di questo scotoma che fa fare un salto alla nostra visuale/visione stereotipica, l'opera raccoglie la nostra attenzione e la nostra considerazione. Senza sorpresa questi obiettivi possono essere raggiunti con maggiore difficoltà.

2) E' GRANDE; ovvero occupa dimensioni o proiezioni che trascendono la dimensione umana e quella domestica. Sono opere pensate per spazi museali, vuoti. Un'opera del genere è anche pressocchè Inacquistabile da un privato che desideri mettersela in casa (a meno che non disponga di spazi enormi)
e della relativa intrasportabilità (che necessiterebbe di un'altra installazione).

3) E' FOTOGENICA, perchè la veicolazione delle immagini delle opere è enormenmente maggiore della loro visione diretta.

4) E' METAICONICA, rispondendo forse ai requisiti dell'anti-arte di cui si è parlato nel precedente post 
http://scenariovisivo.blogspot.it/2013/03/le-origini-dellanti-arte.html

5) E' COMUNICATIVA, nel senso che deve essere pronta a ricevere proiezioni di tipo concettuale o comunque significatorio (anche pre-cosciente).
Questo punto merita almeno un altro post, perchè apre il campo alla famosa polemica sull'accesso all'arte e sulla relativa necessità di una preparazione culturale adeguata.

6) Quest'opera di Nouri propone anche il problema della PERMANENZA, e, opportunamente, si propone come impermanente, o quasi (bisogna infatti considerare come sarebbe difficile liberare quest'opera dalla polvere, e in ogni caso preservare i materiali dal deterioramento).

Grande è significativo?




Comincierei questa riflessione sulle dimensioni presentando quest'opera di Thomas Jamak intitolata Locution e presentata alla Nachteilezeight di Berlino nel 2002.
Alberich Württemberg, il più importante critico tedesco, ha scritto di Jamak che con la sua opera ha definitivamente eliminato il confine tra ciò che è dentro e ciò che è fuori e che la scultura ha finalmente dichiarato il suo essere estranea alla materia.


Non voglio ingannare nessuno, e immagino di non esserci riuscito, ma ovviamente dichiaro che è tutto falso. Falso il nome dell'autore che ho inventato io (chiedo scusa ad eventuali omonimi). Falso il nome dell'opera, falsa la foto, falso il critico (idem per gli omonimi) e le sue affermazioni. 
In realtà la foto è un montaggio di una matassa di filo di ferro plastificato che mi sono trovato in mano dopo avere tolto la spirale a una vecchia agenda prima di buttarla nella carta da riciclare.


Prima di buttare la spirale ormai arrotolata in una matassa inutilizzabile l'ho osservata. L'ho trovata interessante, soprattutto perchè l'ho appallottolata inconsapevolmente, senza alcun obiettivo artistico. E prima di consegnarla all'Azienda Municipalizzata ho deciso di conferirle un ultima visibilità. E' arte? Se anzichè essere un'oggettino insignificante di pochi centimetri fosse una presenza alta almeno sei o sette metri, il suo valore estetico/ rappresentativo/ comunicativo, cambierebbe? Il suo valore significativo cambierebbe? Avrebbe una maggiore dignità? In molti casi, negli ultimi anni, ho avuto la sensazione che fosse sufficiente un cambio dimensionale per conferire importanza a un'opera. 


Se il celebre ragazzino gigante di Ron Mueck fosse alto venti centimetri, sarebbe solo una statuetta? Continuerebbe ad essere arte o sarebbe artigianato? E' giusto dire che le grandi dimensioni - di per se stesse - sono un elemento qualificativo dell'arte contemporanea? P.S. Se qualcuno volesse comprare la mia matassa, ne possiamo parlare: è il bozzetto per un'opera in fibra di carbonio alta 74 metri.


giovedì 28 novembre 2013

Considerazioni su una presunta opera d'arte

Istruzioni per creare un micro-dibattito intorno all'arte contemporanea

1) Dipingete un quadro con una tecnica pittorica che evochi il passato (io ho simulato il divisionismo, ma va bene qualunque stile, purchè non si superi il primo Novecento)

2) Cercate di realizzare l'opera con la migliore tecnica di cui disponete per imitare o ricalcare fedelmente lo stile che avete scelto. Il risultato deve essere soddisfacente, e sufficientemente simile alle opere del periodo prescelto.

3) Incorniciatela adeguatamente, ovvero trovando una cornice che simuli una certa contemporaneità con l'opera. (Se simulate un'opera antica, abbiate cura di far camolare la cornice).

4) Intitolate l'opera con una locuzione congrua alla datazione (io ho chiamato la presente opera "Sera a Capieso" oppure "Elisa e Giulia al tramonto".

5) Mostrate l'opera ai vostri amici (quelli un po' esperti d'arte, non le vecchie zie), dichiarando che è una vostra realizzazione, che si rifà a un qualche cosa del passato.



Noterete che - a parte qualche complimento per la tecnica - raccoglierete apprezzamenti un po' pallidi, assensi forniti un po' obtorto collo. I più malevoli vi diranno che sembra una scatola di ciccolatini.

6) Se però voi, prima di mostrare l'opera vi siete dotati di una trousse di poliestere arancione semi-trasparente comprata dai cinesi ...



e poi l'avete saldamente attaccata alla vostra opera, in questo modo:



Noterete che i giudizi saranno più favorevoli. L'opera dovrà essere rigorosamente "senza titolo", e alla mesmerica enunciazione della mancanza di enunciati espliciti i giudizi miglioreranno ancora, forse qualcuno la difinirà addirittura "geniale".
Come sempre, non c'è polemica in queste considerazioni. Solo il desiderio di portare l'attenzione sul valore della trousse, dell'atto di apporre la trousse e di come l'applicazione dellla trousse possa in un attimo catapultare un'opera "in avanti" di qualche secolo e addirittura, come in questo caso, trasformare una banale opera di artigianato manuale in qualcosa che aspira ad essere arte.