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domenica 31 gennaio 2021

Manierismo e tonalismo: il XVI secolo

 Se qualche volta abbiamo sentito la famosa frase “l’arte supera la natura” o abbiamo preso parte a qualche dibattito circa la competizione tra arte e natura, sappiate che quel dibattito è nato dalle parole dell’incommensurabile Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574),  pittore, architetto e storico dell'arte italiano, che vede nell'arte a lui contemporanea la perfezione capace di superare la natura.  

 

 
Giorgio Vasari, Sei poeti toscani (1544)

 

Il termine maniera è presente nei trattati del XV e XVI secolo e il “manierismo” non ha quella connotazione negativa che noi oggi gli attribuiamo. Al contrario, la “maniera” definisce l’abilità stilistica. Vasari definisce i gradi della "maniera", e utilizza questo termine per definire i diversi stili nelle diverse epoche nelle varie aree geografiche. I maestri della generazione precedente, come Leonardo, Raffaello, Giorgione ed altri erano riusciti a codificare le regole su cui si basa l'imitazione della natura, gli artisti del 1500 che ben conoscono queste regole, vogliono ampliarle e superarle per superare la natura stessa. La tensione tra regola e licenza è la base del linguaggio manieristico. Il manierismo chiama in gioco una grandissima competenza tecnica negli artisti e una estesa cultura da parte dei fruitori delle opere.
La data di inizio dell'era moderna è convenzionalmente posta al 1492, anno della Scoperta delle Americhe e della morte di Lorenzo il Magnifico, protagonista indiscusso del panorama politico italiano. L’arrivo di questa modernità scuote il sistema di certezze che era stato alla base del mondo umanistico. Ci sono un po’ di eventi drammatici che determinano questo enorme cambiamento: la presa di Costantinopoli (1453), la discesa in Italia dell'esercito di Carlo VIII di Francia (1494), l'invasione di Carlo V d'Asburgo con il suo esercito di lanzichenecchi (mercenari tedeschi e spagnoli). Arriva un periodo di guerre, di instabilità e di smarrimento.
Nel 1498 c’è anche l’esecuzione di Savonarola a Firenze, nel 1520 muore  Raffaello Sanzio e nel 1527 inizia la diaspora della scuola di allievi dell'urbinate, che diffuse il nuovo stile in tutta la penisola: tra questi: 

 
Perin del Vaga. La caduta dei giganti (1531-1533)
 
 

 
Perin del Vaga, La caduta dei giganti (due particolari)


Piero di Giovanni Bonaccorsi, detto Perino o Perin del Vaga (Firenze, 23 giugno 1501 – Roma, 19 ottobre 1547)
Perino del Vaga, come Giulio Romano, non si preoccupa di mantenere l'armonia e l'equilibrio lasciato in eredità da Raffaello ma, ormai superato definitivamente il naturalismo quattrocentesco, cerca di svolgere al meglio il suo nuovo ruolo di pittore di corte: alleggerisce le forme che rende più brillanti per poter caricare di contenuti intellettualistici la decorazione e accentuarvi la funzione simbolica; così, nelle decorazioni genovesi, Andrea Doria non può essere solo un ammiraglio, ma deve diventare Nettuno e allora Carlo V deve essere almeno Giove, mentre nelle decorazioni di Castel Sant'Angelo Perino frammenta la narrazione affollando le figure in pareti prive di sfondi prospettici e paesaggistici, come a soffocare l'osservatore sotto la sovrabbondanza dei suoi simboli.

 
Polidoro da Caravaggio, trasporto di Cristo al sepolcro (1524-1527)

Polidoro da Caravaggio (Polidoro Caldara)  (Caravaggio, 1499/1500 circa – Messina, 1543 circa)
opera a Napoli e in Sicilia 



 


Di straordinaria importanza anche i lavori intrapresi a Mantova da Giulio Romano:

 
Giulio Romano, Giove seduce Olimpiade (1527)
Un dipinto che oggi definiremmo quasi "porno" e che comunque non lascia spazio ad equivoci circa le intenzioni di Giove. Siamo ormai lontani dal "timor di Dio" del medioevo e  la "lacità" dei dipinti, giustificata dalla mitologia, apre la strada alla pittura cosiddetta "profana".
 
 
 
 
Giulio Romano, L'Assemblea degli dei attorno al trono di Giove (Palazzo del Te a Mantova)
Quando ho visto qesto affresco "dal vero" a Mantova, nella Sala dei Giganti, credo di aver provato l'identico stupore e l'identica meraviglia che provò il committente marchese Federico II (che, per inciso, "stressava" il povero Giulio affinché finisse l'opera celermente, dimenticando naturalmente che la fretta è l'ingrediente peggiore per la realizzazione di un'opera d'arte. Nonostante ciò, Giulio non tradì le grandi aspettative.


Giulio Romano (Giulio Pippi de' Jannuzzi) (Roma, 1499 circa – Mantova, 1º novembre 1546)
Si trasferisce da Roma nella città dei Gonzaga nel 1524. Fra i manieristi maturi eccelle un gruppo di artisti che elaborano con più personalità e profondità i motivi classici (vedi Andrea del Sarto, Pontormo, Rosso Fiorentino, Bronzino, Vasari, Daniele da Volterra, Francesco Salviati  detto il Cecchino, Giuseppe Porta, Nicolò dell'Abate, Lattanzio Pagani, Antonio da Carpena detto Carpenino, i fratelli Federico e Taddeo Zuccari).
L'età della maniera subisce dei forti contraccolpi con la fine del Concilio di Trento nel 1563, ma il gusto manierista, sempre più raffinato e decorativo, continua in imprese di grande virtuosismo commissionate dalle grandi corti europee.



Tiziano, Amor sacro e amor profano (1514)


 
Tiziano, la Venere di Urbino (1538). 
Uno dei dipinti più famosi della storia, dove l'atteggiamento della dea pagana oscilla tra pudore e licenziosità (direi con una chiara predominanza della licenziosità). Il dipinto doveva servire come esempio educativo per Giulia da Varano, la moglie estremamente giovane del duca Guidobaldo della Rovere, sposata nel 1534 per ragioni politiche, al fine di persuaderla al connubio amoroso in maniera allegorica e "culturale". Il dipinto ha molti punti di contatto con la precedente Venere del Giorgione la quale, però era dormiente, mentre la Venere di Tiziano ci guarda negli occhi e sembra quasi invitarci. Anche Ingres realizzerà una copia di questo dipinto nel 1821.
 
Giorgione, Venere dormiente (1510)

  
Tiziano (Tiziano Vecellio) (Pieve di Cadore, 1488/1490– Venezia, 27 agosto 1576), Cittadino della Repubblica di Venezia, importante esponente della scuola veneziana, innovatore e poliedrico, maestro con Giorgione del tonalismo. è uno dei pochi pittori italiani a gestire una vera e propria fabbrica d’arte, accorto imprenditore della bottega oltre che della sua personale produzione, direttamente a contatto con i potenti dell'epoca che erano i suoi maggiori committenti. Il suo rinnovamento della pittura si basa sulla contrapposizione al michelangiolesco «primato del disegno», sull'uso straordinario e innovativo del colore. Tiziano usa la forza espressiva del colore materico e poi, entrando nella piena maturità, abbandona la spazialità bilanciata, il carattere solare e fastoso del colore del Rinascimento, assumendo il dinamismo proprio del manierismo e giocando con libertà nelle variazioni cromatiche in cui il colore era reso "più duttile, più sensibile agli effetti della luce".
 
 
 

  

Parmigianino, Cupido che fabbrica l'arco (1533-1535)  

Notare lo sguardo malizioso di uno dei due bambini e lo sguardo complice di Cupido, che sembra dirci: la prossima freccia sarà per te!

 

Parmigianino, Madonna dal collo lungo (1534-1540) 

Una Madonna aristocratica e quasi "pagana", ben lontana dagli stereotipi precedenti, esprime una estetica che si oppone al classicismo. Le dita e il collo di Maria, e anche la gamba dell'angelo sono allungati. Il corpo di Maria è grande quasi il doppio di quello degli altri personaggi. C'è la volontà esplicita di dare alle immagini un aspetto ideale, elegante e sofisticato. 

Parmigianino, (Francesco Maria Mazzola) (Parma, 11 gennaio 1503 – Casalmaggiore, 24 agosto 1540). Lavora a Bologna e Parma, ma anche in Francia con Rosso Fiorentino e Primaticcio che operano nel castello di Fontainebleau. 

 

 

                                                            Tintoretto, Lavanda dei piedi (1547-1549)

Tintoretto Giuditta e Oloferne (1577).

Tintoretto (Jacopo Robusti o Jacopo Comin) (Venezia, settembre o ottobre 1518 – Venezia, 31 maggio 1594)
Cittadino della Repubblica di Venezia, è uno dei massimi esponenti della pittura veneta e dell'arte manierista in generale. Il soprannome "Tintoretto" gli deriva dal padre che era un tintore di tessuti di seta. Per l’energia fenomenale della sua pittura è stato soprannominato Il furioso o il terribile, come lo definì il Vasari (al quale per la verità il Tintoretto non piaceva molto)  per il suo carattere forte e l’uso drammatico della prospettiva e della luce, caratteristiche che fanno di lui il precursore dell'arte barocca.




1 commento:

  1. bellissimo articolo che colma le mie molte lacune sulle arti figurative. grazie!

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