L'Impero romano d'Occidente nel corso dei primi secoli dopo Cristo comincia a sgretolarsi e si fa terminare per convenzione nel 476, anno in cui il generale degli Unni Odoacre depone l'ultimo imperatore, Romolo Augusto. La caduta dell'Impero romano d'Occidente è stabilita come l'inizio del Medioevo. La vita dell'Impero romano d'Oriente si protrarrà invece fino al 1453. Questo spostamento dell’epicentro dell’impero coincide anche con la diffusione del Cristianesimo che partito dalla clandestinità, si diffonde progressivamente.
Dal punto di vista filosofico e del pensiero in generale, il periodo è di un interesse incredibile perché se è vero che la diffusione del cristianesimo comincia a permeare tutta la società con i suoi principi e i suoi dogmi, è anche vero che il pensiero greco, la filosofia e la logica, che attribuivano al pensiero umano la capacità di indagare autonomamente e di percorrere la strada verso la verità delle cose, si è affermato saldamente e non può più essere escluso dalla vita degli uomini.
Come questi uomini dell’antichità riuscirono a far convivere i dogmatismi cristiani derivati dall’ebraismo e la libertà di pensiero introdotta dai greci? Questo compito difficilissimo fu sviluppato dalla Patristica, cioè il pensiero degli antichi padri della Chiesa, che fu il primo tentativo di fusione fra la tradizione ebraica e la filosofia greca. Al centro di tutto c’è Dio, ma c’è anche il logos, concetto chiave della filosofia greca, che era “pensiero” e fondamento universale del mondo, che riconduceva la realtà terrena ad un principio intellettivo ideale, in cui risiederebbe la vera dimensione dell'essere.
Si cominciò a identificare il Cristo incarnato con il logos dei greci, termine che egli trovava adoperato nel prologo di Giovanni. Si arrivò a sostenere che Dio aveva dato la filosofia ai Greci come un Testamento loro proprio. La tradizione filosofica greca, quasi al pari della Legge mosaica per gli Ebrei, è ambito di "rivelazione": sono due rivoli che in definitiva vanno verso lo stesso Logos. In questo panorama troneggia la figura gigantesca di Agostino da Ippona (Sant’Agostino) che ritengo senza dubbio uno dei più grandi geni di tutti i tempi. Chiedo scusa se mi dilungo su un aspetto filosofico (non intendo farlo per tutte le trattazioni successive) ma qui si tratta di un passaggio cruciale che avrà riflessi su tutta la nostra arte. C’è infatti un passaggio fondamentale nel libro XV della Trinità di Agostino che si intitola “Somiglianza del Verbo divino al nostro verbo interiore” che secondo me è all’origine della semiotica moderna: “il verbo che risuona al di fuori è segno del verbo che risplende all’interno e che, più di ogni altro, merita tale nome di verbo. Perché ciò che pronunciamo materialmente con la bocca è voce del verbo e si chiama anch’esso verbo in quanto serve al verbo interiore per apparire all’esterno. Il nostro verbo infatti si fa in qualche modo voce del corpo servendosene per manifestarsi ai sensi umani, alla stessa maniera che il Verbo di Dio si è fatto carne”. A mio avviso in queste parole di importanza capitale c’è l’anticipazione di ciò che in epoca moderna sosterranno Heidegger e anche la programmazione neurolinguistica, e cioè l’ammissione del fatto che noi umani con le nostre attività non siamo soltanto “creativi” ma “creatori”, cioè fabbrichiamo il mondo.
Credo (forse un po’ arbitrariamente) che furono proprio concetti di questa natura a permettere le prime manifestazioni culturali ed artistiche della cristianità in cui l’uomo smette di essere solo spettatore e strumento del volere divino, ma come l’uomo greco e romano, comincia ad essere “autore”.
Questa attività comincia molto timidamente: le prime pitture paleocristiane sono molto povere e artigianali. Le loro forme erano in gran parte mutuate dalle immagini pagane (si pensa addirittura che i primi artisti realizzassero indifferentemente immagini pagane e cristiane). Con la fine delle persecuzioni, dal 313, la pittura si fa più ricca, ad imitazione degli esempi contemporanei di pittura profana.Vige però l'aniconismo, il divieto assoluto di raffigurare Dio. Si ricorre quindi all'uso di simboli per alludere alla divinità: il sole, l'agnello, simbolo del martirio di Cristo, o il pesce, il cui nome greco (ichthys) era l'acrostico di "Iesus Christos Theou Yos Soter" ("Gesù Cristo Salvatore figlio di Dio"). Per analogia, mi ricorda la scritta “W Verdi” che comparve sui muri di Milano e Venezia durante il Risorgimento, che oltre ad inneggiare al grande musicista, significava anche “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”. Altre immagini simboliche sono quelle che non rappresentavo avvenimenti ma suggeriscono un concetto: il Buon Pastore (filantropia di Cristo), l'orante, (sapienza). Anche queste riprese da immagini pagane.
La mancanza di interesse verso la "descrizione", porta a una standardizzazione delle scene simboliche, con un progressivo appiattimento delle figure, la raffigurazione frontale e la mancanza di senso narrativo. La prima arte cristiana si occupa solo del mondo spirituale, è completamente disinteressata all'armonia formale e alla verosimiglianza.
Nel 330 Costantino (306-337) fonda la nuova capitale dell’Impero Romano a Bisanzio. Per un po’ era stato indeciso tra Sardica (Sofia), Tessalonicca (Salonicco) e Troia. La fondazione della nuova capitale apre il cristianesimo all'influsso dello spirito greco che contrariamente al giudaismo, aveva un'ampia tradizione artistica con radici nell'antichità. I cristiani cominciarono a decorare i luoghi di culto, e il passo successivo fu inevitabilmente la rappresentazione del sacro. In particolare, nella chiesa orientale le immagini finirono per non avere solo una funzione decorativa, ma stavano al centro della vita liturgica e col tempo attorno ad esse cominciò a svilupparsi un vero e proprio culto. Fino al VI secolo il cristianesimo assorbe la produzione artistica di Roma, Alessandria d'Egitto, Efeso e Antiochia, ossia il linguaggio artistico dell'antichità, per elaborarlo e trasformarlo in un genere adatto soprattutto al suo mondo spirituale ma anche a quello imperiale.
Se però osserviamo i primi esperimenti artistici paleocristiani, notiamo che il Cristianesimo non ha alle spalle una sua tradizione artistica. L'ebraismo che è all'origine del cristianesimo evitava le rappresentazioni del sacro e del divino, ma possiamo affermare che evitava le rappresentazioni visive in genere. La civiltà ebraica è tutta nel logos. La rappresentazione del linguaggio attraverso l'alfabeto (che nell'ebraismo ha profondi radici simboliche e nasce dai riferimenti iconografici degli antichi alfabeti paleo-sinaitici, fenici ecc.) è ampiamente sufficiente a rendere manifeste tutte le esigenze rappresentative e speculative. Anche il cristianesimo primitivo o "paleocristiano" rifiuta la rappresentazione della realtà e soprattutto del divino e, come abbiamo già detto, "torna" alle origini della rappresentazione facendo ricorso ai simboli (pesce, ancora, agnello, ecc.) evitando la rappresentazione figurativa di Dio e della divinità.
Su queste basi, nel corso del secolo VIII si sviluppò il movimento dell’iconoclastia, basato sul concetto che la venerazione delle icone fosse una forma di idolatria detta iconodulia.
I papi di Roma si schierarono contro la politica iconoclasta dell’imperatore bizantino Leone III, ma persero terreno quando l’imperatore sottrasse al controllo ecclesiastico di Roma l’Italia meridionale e l’Illiria (la parte occidentale della penisola balcanica).
Costantino V (740-775), successore di Leone III, continuò la politica iconoclasta del padre, e per conferirle massima autorità, convocò un sinodo a Hieria, nel 754, presso Calcedonia, che condannò il culto delle immagini, definita una vera e propria eresia. Nessuno degli altri patriarcati della cristianità (Roma, Alessandria, Gerusalemme, Antiochia) accettò queste decisioni.
La politica iconoclasta di Costantinopoli cambiò quando, dopo la prematura morte di Leone IV (780), divenne reggente del minorenne Costantino VI la madre Irene, favorevole al culto delle immagini, che infine convocò un concilio a Nicea (787), riconosciuto come ecumenico, che decise la netta differenza tra venerazione delle immagini, ammessa, e adorazione, assolutamente rifiutata, perché solo Dio può essere adorato. Fu chiarito inoltre che la venerazione delle immagini significa la venerazione delle persone rappresentate e non delle icone materiali in quanto tali.
In seguito al Concilio di Nicea, l’arte bizantina (che inizia dal 330 e si protrae fino al 1453) canonizza una certa tipologia di immagini sacre che furono quelle universalmente diffuse in tutto il mondo cristiano e che influenzarono gran parte delle immagini sacre del medioevo.
Santa Sofia a Costantinopoli (Istanbul) , inaugurata nel 537 d.C. - Tempio dell'antichità cristiana, decorazioni parietali a mosaico. Quindi non si tratta di vera pittura, ma il viaggio della rappresentazione visiva riparte da qui. I pavoni e gli altri uccelli hanno una stilizzazione da arte moderna, fanno pensare all Art Nouveau, a Matisse. Gli accostamenti cromatici hanno un sapore orientaleggiante. Tutte influenze greche e mediorientali che i cristiani "nostrani" non si sarebbero mai permessi!
Le principali opere di arte bizantina sono realizzate con la tecnica del mosaico, che proprio a Costantinopoli assunse le più suggestive caratteristiche. Il mosaico utilizza tessere vitree policrome e si presta bene a realizzare gli ideali dell’arte bizantina, poco interessata alla rappresentazione realistica. L’ideale, tutto pervaso di religiosità, è quello di rappresentare il soprannaturale; questo è uno dei motivi dell’anti-plasticità e l’anti-naturalismo. Le figure sono piatte, bidimensionali e molto stilizzate, quasi una ripetizione di moduli narrativi, poco interessati alla ricerca e alla creatività artistica e preoccupati più che altro di mostrare monumentalità e astrazione soprannaturale, attraverso la ricerca di “smaterializzazione” dell’immagine . L’obiettivo è quello di descrivere le aspirazioni dell’uomo verso il divino
Il Buon Pastore, Galla Placidia a Ravenna, circa 450 d.C. Anche se in questa immagine c'è una certa tensione nella figura, la povera arte bizantina è ben lontana dalla plasticità dei greci e dei romani, anche a causa dei limiti tecnici del mosaico. Anche se, a ben guardare, sarà si un personaggio evangelico, ma ha ancora qualcosa della divinità agreste pagana. O mi sbaglio? Comunque torno a dire che in questo periodo erano ben distanti dalla preoccupazione del rappresentare correttamente. Le immagini vanno intese come emblemi della liturgia oppure di episodi del Vangelo. Più che essere pittura, sembrano "logos" tradotto in immagini.
Cattedrale di Monreale a Palermo (1180). Questo Cristo Pantocratore (eh, si chiama così) si avvale della cupola per estendere il suo abbraccio verso i fedeli e alza la mano destra in segno di benedizione. Il suo sguardo è severo e benevolo nello stesso tempo, ma... guarda altrove. Sul libro che porta nella mano sinistra c’è scritto: “Io sono la luce del mondo” chi mi segue non cammina nelle tenebre”. Con la mano destra compie il gesto della benedizione. Tre dita avvicinate a simboleggiare la trinità e l’unità di Dio. L’indice e il medio rappresentano la dualità, umana e divina. Il Cristo Pantocratore è un modello iconografico tipico della tradizione bizantina e ortodossa.
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