Si sente spesso parlare di “Scuola di Parigi”, ma il termine vuol dire tutto e niente. Si tratta di un'espressione che non designa un gruppo o una corrente in particolare, non fa riferimento a una scuola vera e propria. Si dice Scuola di Parigi per evocare il fermento culturale e il cambio paradigmatico delle arti visive che caratterizza la Parigi agli inizi del “secolo breve”. Nel corso dei prossimi cinquant'anni anni l’arte germoglierà in un florilegio di correnti, di interpretazioni, di polemiche e di reazioni.
Parigi agli inizi del Novecento è la capitale culturale del mondo e ospita una pluralità di intellettuali ed artisti. La città diviene un luogo mitico, la cui realtà corrisponde e supera l’immaginario che su di essa si costruisce. E’ il luogo di incontro e di scambio tra una moltitudine di esperienze artistiche, il luogo della sperimentazione e della verifica che è alla base dello sviluppo delle diverse facce dell’arte moderna.
In sostanza, quindi, nell'espressione École de Paris si intende riunire gli artisti che contribuirono a fare di Parigi il teatro stesso della creazione artistica.
La metropoli dell'arte supera rapidamente questa connotazione e richiama l’arcipelago di esperienze artistiche che fioriscono nel periodo precedente allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, come il Postimpressionismo, il Cubismo, i Fauve, che fanno della Parigi novecentesca il simbolo dell'internazionalismo culturale. A partire dal 1900 affluisce infatti a Parigi una costellazione di artisti e intellettuali da tutto il mondo, scegliendo spesso Montparnasse come luogo d’elezione, che dopo Montmartre diventa epicentro della vita artistica e fucina delle nuove tendenze culturali.
Le nuove esperienze artistiche sono connotate da un progressivo allontanamento dall’arte come rappresentazione. D’altra parte tutte le certezze filosofiche legate al positivismo cominciano a vacillare; la filosofia cessa di essere uno strumento di interpretazione della realtà, perché la cosiddetta “realtà” comincia ad apparire nella sua complessità e l’indagine filosofica viene messa in discussione nei suoi assiomi fondamentali. La definizione dei “tre maestri del sospetto” riferita a Marx, Nietzsche e Freud spiega bene come il nuovo pensiero porti alla crisi della filosofia tradizionale, a una specie di rinuncia alla possibilità di spiegare e comprendere tutto, alla ricerca di nuovi metodi di riflessione. L’idea stessa di realtà oggettiva si fa inafferrabile e critica; l’idea di poter raggiungere una verità assoluta rimane appannaggio della religione. Il positivismo ha tentato di rendere la scienza una metafisica di certezze assolute fondando una specie di religione scientifica, ma la temporaneità delle certezze scientifiche che si aggiornano continuamente e si sostituiscono alle precedenti rende evidente che il progetto è una mera utopia.
I riflessi nel panorama artistico (ma forse sarebbe più corretto chiamarli "concomitanze”) producono le nuove tendenze (che da un certo punto in poi verranno chiamate avanguardie) dove la “copia dal vero” e la raffigurazione efficace del mondo non sono più una preoccupazione per gli artisti, né un loro obiettivo. Le avanguardie artistiche (tra intellettuali inneggianti e critici tradizionali che si dichiarano "disgustati"), stanno comunque operando una sostanziale trasformazione dell'immagine e della sua funzione artistica. Come abbiamo detto, si vuole trascendere il concetto di arte come rappresentazione: si è ormai compreso che le forme di testimionianza e di narrazione artistica dell'Ottocento vanno in qualche modo superati. Questa specie di esigenza non è solo un germe contemporaneo: gli ultimi impressionisti, gli ultimi divisionisti verso la fine della loro carriera avevano già cominciato a concentrarsi sulla visione pura, capace di toccare il limite della rappresentazione. Basta pensare alle ninfee di Monet, alle montagne o al lago di Garda di Longoni, oppure le ultime immagini divisioniste di Cominetti, Balla e Severini per intravvedere benissimo come l'immagine fosse già sul punto di sgretolarsi per liberarsi dal suo compito "raffigurativo".
In questo cambiamento storico emergono alcuni dei grandi protagonisti dell’arte cosiddetta moderna.
Utilizziamo quindi l’accezione Scuola di Parigi per raccontare il fermento culturale che anima la Ville Lumière all'arrivo del nuovo secolo, facendo di un periodo e di una città uno spazio ideale in cui collocare alcune grandi personalità difficilmente relegabili in specifiche correnti, sia perché nel corso della loro vita ne hanno attraversate diverse, sia perché la loro cifra distintiva li ha tenuti fuori da specifici movimenti e da identità precise.
La piccola galleria di immagini di questo capitolo copre un periodo abbastanza lungo, all'incirca i primi tre decenni del Novecento. E' un modo non molto ortodosso, ma secondo me rende bene l'idea delle diverse tendenze che si sono formate in quegli anni. Di alcuni artisti, come per esempio Chagall, ho inserito anche delle opere successive, in modo da mostrare l'evoluzione della loro pittura e delle loro tematiche. Oppure come Utrillo, rimasto sostanzialmente fedele alle sue tematiche per decenni. Tra i francesi ci sono protagonisti che abbiamo già incontrato, come Bonnard (vedi il capitolo precedente sui Nabis) o come Picasso, Matisse, Léger e altri che incontreremo ancora successivamente perché nel corso della loro vita artistica hanno sperimentato diverse forme espressive, e questo fatto ha determinato la loro appartenenza (quando non addirittura la loro paternità) a diverse correnti.
Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 31 dicembre 1869 – Nizza, 3 novembre 1954) (vedi Fauves/Espressionismo)
Fernand Léger (Argentan, 4 febbraio 1881 – Gif-sur-Yvette, 17 agosto 1955)
André Derain (Chatou, 10 giugno 1880 – Garches, 8 settembre 1954)
Georges Rouault (Parigi, 27 maggio 1871 – Parigi, 13 febbraio 1958)
Robert Delaunay (Robert-Victor-Felix Delaunay) (Parigi, 12 aprile 1885 – Montpellier, 25 ottobre 1941)
Suzanne Valadon (Marie-Clémentine Valadon) (Bessines-sur-Gartempe, 23 settembre 1865 – Parigi, 7 aprile 1938) | |
Pierre Bonnard (Fontenay-aux-Roses, 3 ottobre 1867 – Le Cannet, 23 gennaio 1947) (vedi Nabis)
E molte, in quel periodo, erano le presenze straniere a Parigi
Chaïm Soutine (Chaim Solomonovič Sutin ) (Smiloviči, 13 gennaio 1893 – Parigi, 9 agosto 1943) Russia , oggi Bielorussia
Pablo Picasso (Malaga, 25 ottobre 1881 – Mougins, 8 aprile 1973) dalla Spagna
Marc Chagall (Moishe Segal o Mark Zacharovič Šagal) (Lëzna, 7 luglio 1887-Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985) dalla Russia, oggi Bielorussia
Amedeo Modigliani (Livorno, 12 luglio 1884 – Parigi, 24 gennaio 1920) dall'Italia
Moïse Kisling (Cracovia, 22 gennaio 1891 – Sanary-sur-Mer, 29 aprile 1953) dalla Polonia
Kees van Dongen (Delfshaven, 26 gennaio 1877 – Monte Carlo, 28 maggio 1968) dall’Olanda
Jules Pascin (Jules Mordecai Pincas) (Vidin, 31 marzo 1885 – Parigi, 2 giugno 1930), dalla Bulgaria
e naturalmente la Superstar Vincent Van Gogh di cui parleremo prossimamente
Quelli qui sopra elencati sono solo alcuni tra i più noti. L’elenco sarebbe lunghissimo, e rimandiamo alle diverse correnti altri dei “mostri sacri” presenti a Parigi nel primo Novecento. Anche se la sua collocazione non è precisamente ascrivibile alla Scuola di Parigi, dove le ricerche formali erano molto all’avanguardia, voglio inserire in questo campo anche Maurice Utrillo, un pittore che mi è particolarmente caro, perché forse è l’autore dei primi quadri che ho copiato da bambino e anche perché mia madre aveva appeso in casa alcune riproduzioni dei suoi quadri, e attraverso quelle riproduzioni e le atmosfere che trasmettono ho cominciato ad amare Parigi e la pittura. Amico di Modigliani e di Toulouse-Lautrec, frequentatore di bistrot e emblematico rappresentante di quella figura di artista-bohemien che ha costruito una mitologia. Da alcuni è ritenuto un esponente della pittura naïf, come anche Rousseau, ma ritengo questa attribuzione completamente errata per entrambi, perché la pittura dei naives presuppone da parte dell'artista un'ingenuità "infantile" e l'essere sostanzialmente autodidatta.
Maurice Utrillo (Maurice Utrillo i Morlius, nato Maurice Valadon) (Parigi, 26 dicembre 1883 – Dax, 5 novembre 1955)
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