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mercoledì 28 aprile 2021

Dadaismo, insofferenza e provocazione

 

Nella primavera del 1916 a Zurigo c'è una strana brezza di disperazione. Il mondo è in fiamme. Nella Svizzera neutrale, pur nella relativa distanza dalle cannonate, la coscienza delle persone è toccata in profondità.  In Germania imperversa la carestia e persino le patate scompaiono dal mercato. La guerra in Europa dura ormai da diciassette mesi: nessuno osa più sperare che la pace sia a portata di mano, e infatti non la è. Gran parte della gioventù è al fronte tra gelo, pidocchi, topi, fame e bombe. Per i civili, restrizioni alimentari e d''ogni altro genere. All'incrocio tra la Münstergasse e la Spiegelgasse, tra le strade più antiche di Zurigo, c'è un locale che si chiama Cabaret Voltaire, dove si riuniscono alcuni giovani artisti e intellettuali dalla sensibilità particolarmente sviluppata e devastati dall'orrore della guerra. Si chiamano Hugo Ball, Emmy Hennings, Tristan Tzara, Hans Arp, Marcel Janco, Richard Huelsenbeck, Sophie Täuber. Al Cabaret Voltaire, parlano sperimentano messe in scena, hanno tante idee. Tra le tante, c'è n'è una in particolare che è destinata a lasciare un solco, per non dire uno spartiacque,  nella storia dell’arte.  Definirla è già difficile: è tentativo completamente polemico e paradossale di smascherare il mondo dalle sue sovrastrutture, di usare l'azione artistica (o anti-artistica) come metalinguaggio e come strumento di provocazione.
 
Tristan Tzara (Samuel Rosenstock) (Moinești, 16 aprile 1896 – Parigi, 25 dicembre 1963) 
insieme a Ball è il grande regista del dadaismo, verrebbe da dire il suo coordinatore. Poeta e saggista rumeno di lingua francese e romena. Di origine ebraica, vive per la maggior parte della sua vita in Francia.
 
Il 14 luglio 1916 al Voltaire, Ball enuncia il manifesto Dada (che Tzara cambierà e aggiusterà nel 1918). Tzara e Hugo Ball hanno 22 anni, Hans Arp ne ha solo 21 ma è già un veterano delle avanguardie: ha già partecipato con Vasilij Kandinskij alla nascita del gruppo Der Blaue Reiter e alla rivista espressionista Der Sturm. Stando a quello che dichiara Tzara, per comprendere come è nato Dada è necessario immaginarsi, da una parte, lo stato d'animo di un gruppo di giovani in quella prigione che era la Svizzera all'epoca della prima guerra mondiale e, dall'altra, il livello intellettuale dell'arte e della letteratura a quel tempo. In primo piano il disgusto e la rivolta per la situazione che stavano vivendo, il totale e assoluto rifiuto  della guerra, senza voler cadere nelle facili pieghe del pacifismo utopistico. Il loro disgusto si applica a tutte le forme della civilizzazione cosiddetta moderna, alle sue stesse basi, alla logica, al linguaggio, e la rivolta assume dei modi in cui il grottesco e l'assurdo superano di gran lunga i valori estetici. Tzara sostiene che il cattivo gusto con pretese di elevatezza sia presente in tutti i settori dell'arte, caratterizzando la forza della borghesia in tutto ciò che essa ha di più odioso.
 
 
Una foto del Cabaret Voltaire e una foto di gruppo del 1920: Da sinistra, dietro: Louis Aragon, Theodore Fraenkel, Paul Eluard, Clément Pansaers, (Emmanuel Faÿ è stato tagliato). Seconda fila: Paul Dermée, Philippe Soupault, Georges Ribemont-Dessaignes. In primo piano:
 Tristan Tzara (con monocolo), Celine Arnauld, Francis Picabia, André Breton. Sopra, una riproduzione del Manifesto Dadaista nella versione parigina del 1918-19.
 

Dopo la fine della guerra i dadaisti tornano in patria, a Berlino, a Colonia (dove Hans Arp incontra Max Ernst) e ad Hannover, ma poi sono costretti ad espatriare in Francia con l’arrivo del Nazismo. Tra le curiosità e le incongruenze legate al Dadaismo c’è il suo aggancio italiano con il futurismo di Marinetti e soprattutto con l’unico presunto artista dadaista italiano: il poliedrico filosofo-esoterista Julius Evola, che idolatrava il Nazismo ed era profondamente impegnato nella difesa della razza ariana. Non riesco proprio a comprendere questa paradossale connessione tra Tzara e il nazifascismo di Evola, ma il Dadaismo può contenere al suo interno ogni sorta di assurdità.

Qui ci tocca affrontare un momento veramente cruciale nella storia dell’arte. Il momento dadaista ha, come si suol dire, una portata “epocale” e costituisce un vero punto di svolta nel nostro lungo nastro dell’espressione artistica. Partiamo subito con una provocazione: il fatto che Duchamp nel 1913 abbia messo lì il suo famoso orinatoio, ha legittimato, da allora in poi, centinaia di artisti a riempire le gallerie di stracci, di oggetti presi in giro, di ciarpame di ogni tipo, presentando tutte queste scelta anche con onorevolissime motivazioni, e definendole “arte”. Il che, naturalmente, non significa che non lo siano, ma dobbiamo ammettere che dopo Duchamp l’arte (non tutta l’arte) si è definitivamente liberata dall’idea del “saper fare” e perfino dall’idea di “fare”. Duchamp diceva: “non l’ho fatto, l’ho scelto”, e in questo per lui consisteva forse, ma solo forse, l’ipotesi di un gesto artistico.
Di fatto molti si dimenticano infatti che Duchamp aveva definito le sue opere successive al 1913 “anti-arte”. Non so avesse, in quei momenti, idea del successo e dell’influenza che avrebbe avuto sulla posterità. Sta di fatto che, da allora, abbiamo assistito a una lunga catena di successori, spesso solo dei velleitari idioti, affrancati alla sua idea di sostituire la “pittura pittura” con la “pittura idea”. Tutto lascia supporre che, come molti altri artisti, anche Duchamp voglia mettere in campo anche una sua provocazione, una critica feroce e sarcastica a tutti gli altri artisti. Sta di fatto che il “ready made”, l’assemblaggio di roba varia e l’arte concettuale si concretizzano proprio in questo momento, con il grande merito di aprire le porte dell’arte anche a chi non na nessuna delle caratteristiche che fino al 1913 hanno caratterizzato gli artisti. La decontestualizzazione, l’isolamento di oggetti d’uso quotidiano privati della loro funzione e sottoposti al pubblico è un gesto altamente simbolico, su questo non c’è dubbio. Sulle motivazioni del gesto sono state scritte centinaia di pagine. Eppure ancora oggi qualcuno torna a dire che sostanzialmente il re era nudo, e che il tutto era, se non abberrante e tragico come sostengono alcuni, quantomeno ironico e provocatorio e da guardare senza eccessiva attenzione. Credo che i dadaisti se ne sarebbero fregati dei giudizi negativi, per non dire che ne sarebbero stati addirittura contenti, come se la missione fosse compiuta. I Dadaisti intendono perfino autodistruggersi, negare loro stessi, e la prova è nel fatto che non c’è niente di narcisistico nel loro esporre le opere, la cui autorità (o autorevolezza) è spesso nascosta con pseudonimi e mistificazioni di ogni tipo. Come abbiamo detto già, per sua stessa dichiarazione il dadaismo non è arte ma anti-arte. Vuole combattere l'arte con l'arte. Ogni cosa sostenuta dall'arte trova nel dadaismo l’esatto l'opposto. Tentano addirittura di fare arte senza alcun messaggio, anche se poi, alla fine, molti l’hanno apprezzata e ammirata e altri si sono sentiti offesi.
 Quindi il movimento dadaista nasce a Zurigo e prende corpo tra il 1916 e il 1920. Non risparmia niente: le arti visive, la letteratura, il teatro, la danza, la grafica, sempre mettendo in dubbio e sconvolgendo tutte le idee dominanti dell'epoca: dall'estetica alla politica. Dada si oppone alla logica con la stravaganza, la presa in giro e l'umorismo.
Attraverso questo rifiuto totale i dadaisti ammettono appunto di voler distruggere anche loro stessi, ma il dadaismo è stato invece il fondamento di una proliferazione enorme di vera o presunta arte moderna e contemporanea. Per il dadaismo infatti transitano diverse personalità che troveremo anche più avanti, inseriti in nuove correnti.

PS: per mostrare le opere più caratteristiche dei dadaisti dobbiamo fare un'altra deroga alla nostra promessa, che è quella di occuparci solo di pittura, cioè di arte bi-dimensionale. E' una deroga che da qui in avanti sarà necessario rievocare in quanto molta arte successiva tenderà a mettere in discussione proprio l'idea stessa di "dipinto" o di "quadro".



Marcel Duchamp, Le Passage de la Vierge à la Mariée (1912)

Marcel Duchamp, Ruota di bicicletta (1913)
 
 
Marcel Duchamp, Fontaine (1917)
 
la celeberrima opera ready-made realizzata da Duchamp nel 1917 e firmata R. Mutt. Non è mai stata esposta al pubblico e la sua versione originale è andata perduta, dunque ciò che vediamo sono "copie". Ma non c'è da strapparsi i capelli: copia o orginale (orinale) poco importa. E' ritenuta da molti una delle maggiori opere d'arte del XX secolo ed un emblema del combiamento del paradigma artistico. Se questo è vero, ci costringe, da qui in avanti, a spostare la nostra attenzione e la nostra valutazione dall'opera al meggaggio, dal dipinto alla situazione, dal "quadro" al contesto e e dall'osservazione alle relazioni. 
Per le avanguardie, niente sarà più come prima. E' come Chernobyl.
 
 
 
 
Marcel Duchamp, La Mariée (1934)



Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968)

E’ un pittore, scultore e scacchista francese naturalizzato statunitense nel 1955. Dadaista, cubista, surrealista masoprattutto antesignano dell'arte concettuale, Marcel Duchamp definisce il futurismo come un “impressionismo del mondo meccanico”. A lui interessa ben altro, vuole allontanarsi dal suo lato fisico della pittura. Gli interessano le idee, non tanto i prodotti visivi in se stessi. Vuole riportare la pittura al servizio della mente e sottrarla al “fascino sensuale”. Dice che la pittura non dovrebbe essere solamente retinica o visiva, deve aver a che fare con la comprensione e disinteressarsi al piacere estetico.
Le sue opere, spesso intese come semplici gesti iconoclasti, sono comunque tra gli oggetti più famosi dell'arte moderna. Per Duchamp ciò che conta è l'operazione di scelta, o più propriamente di individuazione, di acquisizione e di estrapolazione dell'oggetto.

Hans Jean Arp, Senza titolo (Gravures sur bois) (1920)


Hans Jean Arp (Strasburgo, 16 settembre 1887 – Basilea, 7 giugno 1966)

 

 

Max Ernst, senza titolo (1920)



Max Ernst, L'usignolo cinese (1920)



Max Ernst, Figure ambigue (1919)


Max Ernst (Brühl, 2 aprile 1891 – Parigi, 1º aprile 1976) 

Francis Picabia, L'Oeil cacodylate (1921)

Francis Picabia, Parata amorosa (1917)

Francis Picabia, Carnevale (1927)

Francis Picabia, Idillio (1927)
 
 

Francis Picabia, Jumelle (1922)
 
 

Francis Picabia, Balance (1919)


Francis Picabia, Processione, Siviglia (1912)


Francis Picabia, Pompa di Benzina stilizzata (1922)


Francis Picabia (Parigi, 22 gennaio 1879 – Parigi, 30 novembre 1953) 
 

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Kurt Schwitters, Mz 94. Grünfleck (Merzgurnfleck) (1920)
 
 
 
Kurt Schwitters, Mz 169. Formen im Raum (1920)



Kurt Schwitters (Hannover, 20 giugno 1887 – Kendal, 8 gennaio 1948) 

 

 

 

 

Raoul Hausmann, Conquiste dadaiste (1920)
 

Raoul Hausmann, Dada Cino (1920)


Raoul Hausmann (Vienna, 12 luglio 1886 – Limoges, 1 febbraio 1971)






Man Ray,  Legend (1916)


Man Ray, Cadeau (1921)
 
 
Man Ray (Emmanuel Radnitzky) (Filadelfia, 27 agosto 1890 – Parigi, 18 novembre 1976)
pittore, fotografo e regista statunitense.

Hannah Höch, Equilibre (1925)


Hannah Höch, Analisi soggettiva (1926)


Hannah Höch, Collage n. 20 (1920)


Hannah Höch (Anna Therese Johanne Höch) (Gotha, 1º novembre 1889 – Berlino Ovest, 31 maggio 1978),attiva nel movimento Dada berlinese



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