Vorrei pubblicare per intero, se fosse possibile, l'interessantissimo articolo di Mario Perniola Impara l’arte, uscito oggi su Repubblica.
Perniola descrive la frattura sostanziale tra l'arte, anche quella contemporanea (che viene collocata dall'Impressionismo all'informale, 1860-1960), e ciò che è seguito, come anti-arte, fenomeno dilagante dagli anni sessanta ma che ha i suoi prodromi nel Dadaismo e soprattutto in Duchamp.
Anti-arte sarebbe "tutto quanto esula dalla pittura di cavalletto", quindi performance, installazione, street e body art, video ecc...
Dice Perniola: "L'anti-arte è una produzione in cui l'aspetto autodenigratorio e autodistruttivo prevale sull'opera"
Per spiegare l'anti-arte, ovvero una specie di allontanamento dall'immagine, o avversione per l'immagine, secondo l'autore bisognerebbe ricorrere a fattori extra-artistici quali la religione, la filosofia sociale e mediatica e altre discipline della cultura occidentale.
Non saremmo nuovi a quest'esperienza, che trarrebbe le sue origini dalla pregiudiziale aniconica di Platone (per cui l'arte essendo "copia di una copia" sarebbe due gradi lontana dalla verità), ma anche poi anche dalla diffidenza presente nella Bibbia nei confronti delle rappresentazioni visive, che esporrebbero al rischio di idolatria.
A dare il colpo di grazia all'arte, sempre secondo Perniola, c'è l'anti-accademismo promosso da Rousseau che glorificava l'agire spontaneo e l'immediatezza dell'uomo naturale. E poi due eventi più recenti e definitivi: la Rivoluzione maoista in Cina, con la sistematica distruzione di gran parte del patrimonio artistico della Cina imperiale e infine il movimento studentesco del '68 "che facendo proprio il principio secondo cui l'arte può essere fatta da tutti, indipendentemente dallo studio (...) e dalle capacità, favorì enormemente l'affermarsi di profondo risentimento nei confronti di ogni forma di eccellenza".
Le tesi sono molto interessanti. E contengono prospettive nelle quali mi riconosco. Rispetto alle deduzioni finali, mi è venuto però da obiettare che anche la rivoluzione culturale di Mao ha prodotto immagini, è che c'è stata un'estetica di regime, retorica e brutta quanto si vuole, ma penso che Mao volesse semplicemente negare il vecchio col nuovo come hanno fatto molti altri regimi totalitari. Riguardo alla rivoluzione studentesca, mi sembra che invece abbia abbondato di immagini, e su quell'onda possa essere collocata gran parte della fotografia, della pop-art, della grafica, della customizzazione degli standard, e le loro estensioni verso la psichedelia e le visioni extracorporee. Quanto al fatto che quella generazione abbia avuto risentimento verso ogni forma di eccellenza, rispondo solo: il tibutoricevuto da Elvis Presley, Jimi Hendrix, Eric Clapton, Led Zeppelin o Pink Floyd non mi sembra che si possa definire esattamente risentimento verso l'eccellenza.
Non si riesce a capire se anti-arte ... sembra una definizione ufficiale. A me sembra arte. Io la faccio e mi definisco un artista. Non so se bravo o non bravo, comunque è il nome di una professione
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