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giovedì 28 febbraio 2013
Semplicemente dipingere
Un artista dipinge una tela e la espone in una rassegna d'arte. Questa situazione "tipica" descrive paradigmaticamente un evento artistico. Almeno lo ha descritto fino ad una certa epoca. Lo descrive anche oggi, ma non certo in modo esaustivo. Diciamo che, come paradigma tipico, poteva andar bene fino ai primi anni '50.
Anzi, no, perchè già verso il 1915 Duchamp aveva semplicemente esposto uno scolabottiglie, poi un orinatoio nel 1917. Era arte? Certamente. Anzi, a quell'epoca era "più arte" delle altre opere, perchè, come voleva lo stesso Duchamp, provocava e coinvolgeva la materia grigia in una ardua interpretazione. Tutta l'altra arte era di colpo diventata monodimensionale e vecchia, perchè Duchamp conduceva gli spettatori oltre la soglia dell'arte "retinica", come diceva lui.
Andiamo avanti. Un artista, anzichè dipingere la tela, la bucherella o la taglia (lo ha fatto Fontana a cominciare dal 1949). E' arte? Moltissimo! Fontana ha saputo trascendere il piano bidimensionale, è un grande innovatore, anche se ha continuato a tagliare tele un po' troppo a lungo. Proseguiamo. Un artista trova frammenti di materiali diversi come sacchi di juta, catrame, muffe, metallo e plastica. Li assembla e li propone come opera d’arte (lo ha fatto Burri dal '52 in poi). E' arte? Direi che nessuno può metterlo in dubbio, ormai è sui libri di storia. Un artista mette in scatola i propri escrementi (lo ha fatto Piero Manzoni nel 1961). E' arte? Diciamo che il pezzo (anzi, i pezzi, visto che era un miltiplo) ha goduto di una elevatissima notorietà ed anch'esso è sui testi di arte moderna, quindi dev'essere arte. Un artista "installa" temporaneamente pezzi di legno, paglia, scarti industriali (lo ha fatto l'arte povera di Pascali, Pistoletto ecc. nel 68 circa): E' arte? La risposta è quasi certamente affermativa.
Un artista espone una persona affetta da sindrome di down alla Biennale di Venezia (lo ha fatto De Dominicis nel 1972): E' arte? Il carro armato rovesciato è un’idea del 2011 di Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla. E' un'idea bellissima, comunica bene, è notevole. E' arte?
A fronte dell'enorme letteratura su questi percorsi dell'arte il nostro modesto blog non può aggioungere molto. Certamente molti di noi, nati negli anni '50, hanno praticato, difeso, amato, osservato e interpretato queste forme d'arte: erano - e sono - un costante tentativo di riflettere sull'arte, di andare oltre il "già fatto", di provocare, di scardinare teoremi, di guidarci ad un rapporto diverso con le opere.
Dagli anni 50 in poi ne abbiamo viste: scatole di fiammiferi, bachi da seta, pezzi di muro di Berlino, montagne di elettrodomestici arrugginiti, tubi al neon, carburatori, e vecchie valigie; frecce tribali appese con il filo di nylon e donne nude appese con le corde. E' ancora viva l'eco di Duchamp, che diceva: "non l'ho fatto, l'ho scelto". Ci siamo divertiti, ci siamo sfottuti e provocati, ci siamo stupiti, sgiomentati, scandalizzati e auto-indignati.
Andiamo avanti: un bambino raccoglie i sassolini colorati al mare e poi li mette in un bicchiere: è arte? Una signora di bassa cultura va a una fiera di paese e acquista un dipinto di un pagliaccio che piange o di un mare con l'onda trasparente. E' arte? Un signore esce di casa e nella spazzatura trova un pezzo di lamiera arrugginita. Lo porta a casa e lo appende. E' arte? Un signore fa una puzza in ascensore. E' arte? Forse no, ma se lo facesse con intento provocatorio? Se lo facesse per scardinare i nostri luoghi comuni sugli odori? Forse in quel caso sarebbe arte, a condizione di trovare un gallerista disposto ad ammetterlo.
Oggi la situazione è un po' critica, bisogna ammetterlo. Comprendo perfettamente che aprire una discussione su questo punto significherebbe coinvolgere discorsi enormi sul bello, sull'utile, sul ruolo e sulla funzione dell'arte, sull'etica, sull'estetica e sull'anestetica. Ben vengano i commenti, che sono aperti a tutti, anche ai non iscritti, e possono essere anonimi. Certo è che quando gli avanzi di un cantiere e un'installazione artistica non sono più distinguibili se non per i contesto in cui sono collocati, o forse neppure quello, forse solo l'intento di chi li ha collocati, allora forse è venuto il momento di farsi qualche domanda sull'intento.
Vorrei solo contrapporre a questa lunga (e pretenziosa) carrellata, i dipinti (a mio parere fantastici) di Valérie Pirlot. Non so niente di questa giovane pittrice di cui ho trovato molte opere in rete. So che dipinge semplicemente paesaggi. So che non nasconde le sue tecniche, racconta i suoi dipinti. Lei non sembra minimamente porsi il problema concettuale, sembra non voler fornire provocazioni o rompere schemi. Non sembra neanche tanto preoccupata di essere una innovatrice o un genio dell'invenzione. Credo che si diverta a dipingere, e che riesca a trasferire sulla tela la sua elevata sensibilità. A mio parere dipinge come un macchiaiolo che ha imparato lo shodō. Le sue pennellate sono perfette. Esattamente quelle che servono, non una di più, non una di meno. la sua capacità di centrare i colori è calibrata a puntino. Guardare i suoi quadri mi rende più felice che guardare i combusti di Burri o i legni di Pistoletto. Devo preoccuparmi?
link alla pagina contenente l'immagine
opere di Valérie Pirlot:
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RispondiElimina"Credo che si diverta a dipingere, e che riesca a trasferire sulla tela la sua elevata sensibilità."
RispondiEliminaQuesta frase colpisce nel segno, secondo me.
Arte che sta nell'occhio di chi guarda e vede.
Kunstwollen, ma nel senso di bisogno di esprimere, di comunicare un contenuto intuitivo... il lampo, che rivela, fissato su una tela, un oggetto, ecc. Le parole che spiegano un quadro, un'opera, sono quasi sempre sbagliate: le critiche artistiche sono spesso risibili, non centrano mai il concetto vero, sono esercizi di erudizione, ma non colgono il gioco e l'ironia che solo altri artisti possono cogliere. L'arte non è di tutti né per tutti. In questo senso è spesso la negazione di se stessa in quanto autoreferenziale. E' qui che porrei una seria discriminante.
E poi: la massa ama l'arte che crede di capire...
Il post tocca - lateralmente - un argomento che ero tentata di postare ieri... sentendomi in dovere di contribuire. La mia osservazione era sicuramente più semplicistica, ma interrogava sul fatto che chiunque si avvicini al mondo della creatività e dell'arte, perché ne è attratto e vuole esprimersi "artisticamente", ma è magari carente di sensibilità e educazione del gusto, finisce sempre inevitabilmente nel kitsch (del pagliaccio con lacrima, ma non solo...).
L'arte non è per tutti, non lo è mai stata e non lo sarà mai. La differenza tra un gruppo di macerie e l'installazione... non so, direi che è arte, magari, forse, dovrei vedere caso per caso, ma normalmente dura poco, perde narratività molto più in fretta di altri prodotti.
E' passato il tempo in cui la sperimentazione aveva valore artistico: siamo oltre, dove, non so.
Continuo.
RispondiEliminaSiamo oltre, abbiamo circumnavigato l'arte.
Siamo al punto di partenza?
Io forse si.
interessante il dibattito, molto significativo è stato il concetto espresso dalla 53ma Biennale d'arte di Venezia, che si intitolava "Nel mondo dell'arte una parte muove le carte l'altra parte viene da Marte".
RispondiEliminaUn concetto che come artista sono costretto ad accettare anche se mi sembra ingiusto. Almeno io lo intendo così, e cioè che tra i due attori dello scenario dell'arte (galleristi e artisti) i primi sono degli affaristi passacarte e i secondi sono esseri completamente svincolati dalla realtà, una specie di alieni. Nel gruppo dei galleristi ci metto anche i critici che sono con essi collusi e contigui.
Sono convinto che molti artisti che non sfondano sono uguali a quelli che sfondano e a fare la differenza c'è solo la scommessa di un gallerista. Chiedo scusa per l'anonimato, ma in un certo senso dire pubblicamente queste cose mi potrebbe danneggiare (almeno nei rapporti con i critici).
work in progress: http://valeriepirlot.blogspot.it/2013/02/ride-on-carousel_23.html
RispondiEliminaMetto questo link perchè pensavo che l'immagine proposta da Marco Vimercati fosse fatta con un filtro di Photoshop...
questo è veramente un dibattito che mi interessa, e forse sarà anche l'oggetto del prossimo post. E' come se ci fosse una parte di noi istintiva, spontanea (e magari anche pigra) che ama certe cose, anche banali, e un'altra corticale, nevrotica e intellettuale che ne ama altre.
RispondiEliminaForse amare è un termine che non va bene per entrambe le situazioni. Forse la parte intellettuale apprezza ma non ama (forse l'altra ama ma non apprezza?)
Prima ho scordato di rispondere alla domanda "Devo preoccuparmi?" La risposta sta nell'ironia con la quale la domanda è posta. La risposta "è" l'ironia.
EliminaLa risposta l'ha data tanti anni fa Oscar Wilde: "L'unico modo di liberarsi da una tentazione è cedervi." In architettura lo si dovrebbe fare più spesso, negli altri campi non so.
Il modello rappresentativo dell'arte figurativa è finito alla metà del 900. Trovo veramente poco interessanti ritratti, paesaggetti e vasi di fiori sulle credenze. Per me sono uguali ai pagliacci piangenti cui l'autore del post fa riferimento. Il linguaggio dell'arte non figurativa, della sperimentazione mi intriga molto di più.
RispondiEliminaCi può essere tanta sperimentazione in un vaso di fiori quanta in un dripping. Tutto sta a capirlo. O a capire di non capirlo, che è lo stesso. Il pregiudizio mi pare reciproco: l'ingenuo che ama solo quello che crede di capire (il vaso), l'intellettuale che gode a capire quello che agli altri resta oscuro (il dripping). E magari si stanno sbagliando entrambi. Questo mi ha sempre divertita molto, che è poi la sensazione prevalente che ho, quando entro in un luogo in cui è esposta arte non figurativa o comunque dal xx sec. in poi.
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